Dibattito sul futuro del Pri Una proposta: scendere nelle piazze a fare comizi Il dibattito interno al partito circa il proprio futuro è un'irrinunciabile occasione di approfondimento; tuttavia occorre un congresso subito altrimenti si rischia di procrastinare ancora, ulteriormente, inutilmente, forse strumentalmente, scelte che avremmo dovuto assumere da anni. Lo scioglimento del partito, la propria sofferenza nell'attuale quadro bipolare, certo non deve prodursi né per atto notarile, né per il fatto che si costituisca un ulteriore contenitore politico. Ma non è detto che occorra lacerarsi in estenuanti atti se assieme convenissimo che alcuni fatti si sono nostro malgrado già ampiamente prodotti, e parimenti le relative conseguenze, A mio avviso, pure in presenza di evidenti rimozioni psicologiche, il Partito de facto non c'è più, e non c'è perché ha aspettato troppo nel comprendere la realtà politica. E questo confronto interno rischia di esserne la riprova se non si terrà subito un congresso. Tuttavia non significa che esso non possa seguitare ad essere, rifondandosi, come innumerevoli volte è già accaduto, nella propria storia centenaria. Il ragionamento che intendo condurre prende le mosse da questi due punti: per quanto riguarda il primo è necessario sgombrare il campo dagli interessi dei singoli che, reduci da un passato che in qualche stagione li ha visti impegnati con qualche responsabilità politica, temono che in un altro contenitore essi rovinerebbero su un piano inclinato che li vedrebbe subire, altrove, quella concorrenza ideale e generazionale che nel partito hanno ostacolato, impedendo in molti casi la stessa permanenza degli amici nelle file del Pri. Penso a coloro ai quali abbiamo chiesto di tornare e che, rientrati, hanno subito compreso che al più sarebbero stati spogliati delle proprie idee senza alcun riconoscimento del proprio valore; per non dire di chi abbia osato esprimere esigenze e temi innovativi circa tempi e modi dell'agire repubblicano. Se non teniamo in mente questo, molto diverrà ambiguo e anche mistificatorio. Il futuro del Pri c'è se il partito torna a fare politica. Se attende posti, non c'è domani. Il ruolo delle minoranze resta se restano idee da comunicare, altrimenti le minoranze rischiano di servire a poco. Il Pri ci sarà se vi sono ingiustizie che sentiamo tali e per le quali fare una battaglia politica senza i condizionamenti e i vincoli delle grandi forze. Quali sono i temi di riferimento del Pri? Visco Gilardi ha posto in evidenza un punto dirimente: possiamo davvero pensare di stare in Europa nel Ppe? A mio avviso, no. E l'amico Francesco Rutelli non mancherà di porre lo stesso tema per quanto riguarda l'inserimento nel gruppo socialista del Pd. Se non sarà riconosciuto al Pri il proprio ruolo politico con Berlusconi, quest'alleanza dovrà chiudersi, affinché se ne apra un'altra che maggiormente consenta, a noi democratici, di proporre la nostra politica per il Paese, per l'Europa. Certo, occorreranno temi e proposte, volti e idee. Il gruppo liberaldemocratico è solo un importante aspetto tra altri. Una considerazione: qualche settimana fa in Senato la presentazione della biografia di Ugo La Malfa alla presenza del Capo dello Stato è stata l'occasione per ricordare lo statista che appartiene alla Storia dell'Italia e alla vita stessa di noi repubblicani. E poteva essere l'occasione per un confronto tra uomini che si sono divisi in momenti diversi per ragioni personali e politiche: eppure a stento si sono stretti la mano, si sono in pratica ignorati. Ecco, lo scioglimento del Pri era lì sotto gli occhi, palpabile, mancava solo Sbarbati, o forse era presente ma invisibile a tutti. Il Partito repubblicano che si dibatte non esiste più, semplicemente perché non si è più in condizione di fare qualcosa di autonomo. Scrive bene Riccardo Bruno quando ricorda che sono anni e anni che il Pri non consegue un risultato elettorale, eppure tutto si è conservato immutato, come cristallizzato. Mi spiace per l'amico Valbonesi che con la consueta retorica e passione ricorda l'esigenza insopprimibile di mantenere il Pri per quel che è stato. Io dico: manteniamo il Pri per ciò che deve diventare nell'attuale quadro politico. Subito. Anche il Msi sembrava un partito di reduci, poi ha cominciato a fare una nuova politica con nuove risorse, proposte e idee. Ed è davvero difficile doversi riferire a tale esempio. E mi riservo anche io di dire ulteriormente come la vedo in congresso, se mai vi sarà un congresso, dove la mia minoranza qualunque essa sia possa trovare il riconoscimento e la dignità politica che gli è stata negata, altrimenti sarà una commedia. Per il momento cerchiamo di non inseguire i cacciatori di farfalle. La crisi economica renderà difficile a questa politica la sopravvivenza in termini di consenso. E noi cosa offriamo alla richiesta crescente di cambiamento utile, di fronte all'emergenza e ai sacrifici che dovremo affrontare? Crediamo davvero che nel Pri, come seguitiamo a definirlo, vi sia qualcosa capace di determinare una crescita di consenso elettorale? Forse dobbiamo chiederci se veramente possiamo ancora rappresentare un valore aggiunto nella formazione o nelle formazioni cui guardiamo con così tanto sospetto. Fondazione, partito e scioglimento sono quasi tecnicalità rispetto alla prima questione da risolvere: cosa abbiamo da dire. Date ai repubblicani 10 persone di qualità che possano percorrere i circoli altrui, le piazze in mille comizi, ed essi nel deserto delle proposte, nella crisi finale del sindacato, nella deflagrazione ulteriore dei partiti, nel rifiuto dell'uomo forte, troveranno la possibilità di seguitare ad essere i repubblicani di domani. Senza dover sciogliere un bel nulla, essi scioglieranno la vacuità delle proposte altrui nelle proprie, non il contrario. I democratici in questo paese sono i Repubblicani. E, quando Casini avrà fatto il suo accordo con D'Alema, sarà ancora più difficile per noi, ma di questo discuteremo oltre. Prima che sia troppo tardi. Mauro Aparo |